A futura memoria, due commenti sull’atto dello scrivere.
Karl Ove Knausgård, già dato come futuro Nobel per la Letteratura, autore di un’autobiografia in sei volumi, per un totale di oltre 3500 pagine: “Scrivere significa portare alla luce l’esistente facendolo emergere dalle ombre di ciò che sappiamo. La scrittura è questo. Non quello che vi succede, non gli avvenimenti che vi si svolgono, ma lì, in se stessa, lì risiede il luogo e l’obiettivo dello scrivere. Ma come si arriva a questo lì?”
Marc Augé, prossimo ospite al FestivalFilosofia di Carpi: “Tecnicamente, la scrittura si trasmette; a scrivere, si impara. Ma ciò che colui o colei che imparano a scrivere imparano è la possibilità al tempo stesso di una libertà radicale e di una completa affermazione di sé. Posso scrivere quel che voglio – anche a rischio di attirare l’attenzione di censure varie: morali, religiose, politiche – ma, più scrivo, più esprimo qualcosa di me, non solo opinioni e credenze, ma una forma di sensibilità e un modo di essere e di dire in cui mi si riconosce, uno stile che è la mia firma. (…) In altri termini, dietro ad ogni pagina scritta c’è la traccia di un apprendimento comune (saper scrivere), la presenza di una particolare esperienza più o meno condivisa da alcuni (un tema, un soggetto) e il marchio di una equazione personale (questa pagina sono io).
La dimensione del passato si lascia dunque scomporre in diverse sequenze. Resta il fatto stesso della trasmissione e del desiderio di trasmettere. Esso presuppone una definizione dell’altro, del futuro lettore, come diverso e simile al tempo stesso. (…) Nessuno potrebbe scrivere con la certezza di non essere mai letto da nessuno: è il bel mito del messaggio nella bottiglia – un giorno qualcuno saprà che io sono esistito. Dovremmo vedere nel postulato dell’esistenza di questo lettore a venire l’espressione di una solitudine insopportabile o, al contrario, di una sorta di fede nell’esistenza del genere umano?”
Photo Credits: Ferena Lenzi