All’arena di Montfrin

Luogo: Arènes de Montfrin, Camargue

Data: Agosto 2022


«Sono nato a febbraio, al riparo dei giunchi, su di un prato della campagna di Albaron. Un prato della Manade Saliérènes. E non ho mai dormito in una stalla in vita mia. Che sapore hanno i prati e i cieli della Camargue? Sanno di libertà. Ho capito solo dopo di essere nato in un posto speciale, una manade che ha regalato alla course camarguaise generazioni di campioni. Ne porto il marchio con orgoglio, e con orgoglio riconosco tra gli altri il mio nome quando mi sento chiamare.
So chi erano i miei antenati: il Minotauro, o gli animali ritratti nelle grotte di Lascaux. Ma non ho mai saputo chi fosse mio padre. Se buon sangue non mente, doveva essere un buon cocardier: per noi, è tutta questione di geni.Verso i tre anni, insieme agli altri giovani maschi della Raço di Biou, neri e focosi proprio come me, sono stato messo alla prova: con la cocarde tra le corna, ho dimostrato che nella course camarguaise non me la sarei cavata poi male.È così che è cominciata la mia carriera.
Anno dopo anno, da marzo a novembre, ho difeso decine di volte cocarde, glandes e ficelle dai razeteurs che cercavano di strapparmele per aggiudicarsi i premi delle corse. E nelle corse più importanti le somme in palio non erano certo piccoleLi ho fatti correre, saltare, scappare: loro e i tourneur, quelli che nell’arena tentano di attirare la mia attenzione perché io mi metta in una posizione favorevole al razeteur che vuole portarsi via i miei attributi.In ogni caso, le vedettes dello spettacolo eravamo e siamo noi, i tori.
Siamo noi che il pubblico viene a vedere, noi che applaude. E sa riconoscere la manade dalla nostra devise, il nastro che portiamo al collo nelle courses: il mio è verde, nero e bianco. Sui manifesti delle corse, il nostro nome è scritto in grande; molto più in grande di quello dei razeteurs. Ma non fatevi idee sbagliate. Uomini e animali, siamo avversari per un quarto d’ora, quanto dura la manche di una corsa: nemici, mai. Uno vince e l’altro perde, ma respiriamo la stessa aria, teniamo vive le stesse tradizioni, abbiamo nelle narici lo stesso odore delle nostre terre selvagge. Quelle dove io rientro la sera, dopo le corse. Mentre il razeteur va a festeggiare con i suoi, se ha qualcosa da festeggiare, o ad affogare la sconfitta in un bicchiere di pastis.
Ne ho viste di arene. Oggi gareggio nella course royale, quella a cui partecipano solo i sei tori più bravi di ogni manade. E mi batto nelle ‘corse grandi’ di Lunel, Arles, Nîmes… le più importanti. Mi ci portano dai prati col camion, il char, ma il momento più bello è il bandido, il ritorno ai pascoli al tramonto, dopo le corse, affiancati dai cavalieri.Ho 13 anni, già tante volte sono stato ‘il migliore’. So che potrò correre per un paio d’anni ancora, poi lascerò il posto ai giovani. Non mi dispiace: se sei stato un campione, nessuno si sogna di mandarti al macello. Resti nella manade a goderti il tempo che Dio ti concede. Ti trattano bene, perché fai parte della famiglia: i manadiers, i loro aiutanti… Qualcuno di loro resta in sella fino a più di 80 anni, pur di accompagnarti da un pascolo all’altro. Siamo un tutt’unoE poi, quando tutto sarà finito? Seppellitemi qui, nel cimitero della manade, insieme ai ‘migliori’ che sono venuti prima di me. Proprio come loro: in piedi e con lo sguardo rivolto verso il mare».

[Storia di un toro campione di course camarguaise, ispirata ai racconti di Françoise Peytavin]