Luogo: Officina meccanica, fuori Treviso
Data: Agosto 2023
C’è stato un tempo, che con facilità riconduco ai primi anni del liceo, in cui il telefono era a disco. Si trattava di un telefono grigio analogico, grazie al quale era possibile comporre il numero, all’epoca per definizione “fisso”, del destinatario, girando la rotella con un dito, solitamente l’indice.
Per ciascun numero, bisognava accompagnare il disco in senso orario fino al “fine corsa” metallico; poi bastava rilasciare la rotella che sua sponte tornava alla posizione iniziale, e comporre immediatamente il numero successivo, tenuto a memoria o scritto sulla rubrica, badando bene di mantenere un ritmo abbastanza uniforme, né troppo lento, né frettoloso, pena ricominciare.
Era il tempo in cui quell’inconfondibile tuuu tuuu tuuu preludeva a parole da centellinare, passate al setaccio e fatte risuonare in testa decine di volte, per le quali non c’era un attimo da sprecare. Era il tempo in cui attendevi di chiamare proprio all’orario pattuito, perché anche il tuo interlocutore – fosse l’amica del cuore o il ragazzo che il cuore te lo faceva battere fino a sentirlo esplodere negli orecchi – doveva sincronicamente trovarsi a casa vicino al telefono; era il tempo delle corse al primo squillo o della delusione per la mancata chiamata. Era pure il tempo in cui gli “scatti” si pagavano alla SIP, e non era affatto inusuale che tua madre si affacciasse nel corridoio dove l’apparecchio era installato, immobile come la pietra sulla quale la totale assenza di riservatezza era scolpita, mimando perentoria lo scorrere dei minuti e minacciando una paghetta dimezzata a fronte della bolletta salata prevista.
Sono bastati pochi anni e sono subentrati i telefoni “a tasti”, i numeri preceduti da un prefisso diverso per ogni città – che anche per chiamare a pochi chilometri toccava aggiungere, i cellulari Motorola a mattoncino, scuri e compatti come dei maxi biscotti. Poi qualcosa è successo: le parole hanno perso la dimensione spazio-temporale del corridoio di casa…